“… a prescindere dal rilievo che assume la circostanza che il pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento all'effettiva reintegrazione, stabilito dall'ordinanza resa dal Tribunale di Castrovillari, il 23.6.2016, non è equiparabile, quanto a conseguenze esecutive, al pagamento della retribuzione, ma rappresenta appunto una indennità risarcitoria, predeterminata normativamente (cfr. art. 18, L. 300/1970), dal che deriva l'inconferenza del principio evocato dal lavoratore in merito alle ritenute, afferendo alla diversa ipotesi di liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive […] in una recente sentenza delle S.U. della Suprema Corte e, precisamente: "Alla luce del nuovo testo dell'art. 18, le somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado che abbia dichiarato illegittimo il licenziamento ed ordinato la reintegra del lavoratore, costituiscono (in assenza di ottemperanza alla decisione di primo grado) non più retribuzioni, ma risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l'illegittima risoluzione del rapporto di lavoro" (Corte Cass. S.U. sentenza n. 2990/2018) …” (Tribunale di Castrovillari  - Sez. Lav., sentenza n. 1000/2020, pubblicata il 07.07.2020, Giudice del lavoro, dott.ssa Anna Caputo).

 

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“Ebbene, in via preliminare occorre chiarire che per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità elaborato con riferimento alla formulazione della disposizione contenuta nell’invocato art. 18 S.L. anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92/2012, la liquidazione forfettaria ex lege prevista dall’art. 18 L. n. 300/1970 copre tutti i danni collegati all'illegittimità del licenziamento ex se, anche sotto il profilo del danno biologico […] Ebbene la parte ricorrente si è limitata a rappresentare di aver subito i pregiudizi alla salute, morali ed alla professionalità in occasione ed a causa dell’illegittimo licenziamento impugnato.  In concreto la parte ricorrente ha ricollegato l’insorgenza dei lamentati pregiudizi alla salute, morali ed alla professionalità semplicemente alla irrogazione da parte della società del recesso impugnato ritenuto illegittimo senza rappresentare la natura ingiuriosa, persecutoria o vessatoria del recesso né le sue concrete modalità lesive della dignità e dell’onore anche in ambito professionale. Risulta omessa qualunque allegazione ed offerta di prova non solo del carattere ingiurioso, persecutorio o vessatorio del licenziamento in esame quanto piuttosto delle concrete modalità offensive con cui è stato intimato il licenziamento, delle forme lesive della dignità e dell’onore del lavoratore ed anche della pubblicità del provvedimento in grado di incidere negativamente nella sfera relazionale e professionale del dipendente.” (Tribunale di Castrovillari – Sez. Lav., Giudice del Lavoro dott. Salvatore Franco Santoro, sentenza n. 1591/2019, pubblicata il 09.10.2019).


 

 

 

 

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“In ordine al fatto che il presente giudizio in opposizione è stato assegnato e trattato dal medesimo giudice-persona fisica che ha emesso l’ordinanza impugnata, basti in questa sede richiamare quanto statuito (nel senso della insussistenza di alcuna incompatibilità) sia dalla Suprema Corte (Cass. Lav. 17 febbraio 2015 n° 3136) sia dalla Corte Costituzionale (sentenza 13 maggio 2015 n° 78 ). […] <<Non può innanzitutto accogliersi la doglianza del ricorrente in ordine alla ritorsività del licenziamento.  Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, “in tema di provvedimento del datore di lavoro a carattere ritorsivo, l'onere della prova su tale natura dell'atto grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo” (Cass. sez. lav. 6 giugno 2013, n. 14319). Nel caso di specie, parte ricorrente non ha evidentemente assolto al proprio onere della prova, non avendo fornito elementi specifici da cui desumere l’intento ritorsivo asseritamente attuato nei suoi confronti. Infatti l’esistenza di un precedente provvedimento espulsivo nonché di un contenzioso in corso non sono elementi che, in difetto di concorso con altre specifiche circostanze, possono rivelare l’intento ritorsivo del datore di lavoro, specie a fronte delle specifiche contestazioni che fondano il provvedimento di licenziamento impugnato in questa sede.” (Tribunale di Castrovillari, Sez. Lav., sentenza n. 1397 del 16.09.2019, Giudice del Lavoro dott. Simone Falerno).

 

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“Innanzitutto occorre affermare l’infondatezza della doglianza rappresentata dalla parte ricorrente circa la inutilizzabilità delle videoregistrazioni e dei fotogrammi prodotti ritraenti il lavoratore in attività extra-lavorativa1. Per orientamento della Suprema Corte di Cassazione, infatti, al quale occorre dare continuità, deve ritenersi legittimo il ricorso da parte del datore di lavoro a un'agenzia investigativa per verificare l'attendibilità della certificazione medica, mentre non sussiste alcuna lesione del diritto alla riservatezza e alla privacy. […] Ebbene, alla luce delle evidenze processuali, occorre concludere per la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, secondo una valutazione complessiva degli addebiti mossi al ricorrente, configuranti, in ragione delle circostanze del caso concreto emerse nel corso del giudizio, una grave ipotesi di inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto lavorativo a carico del lavoratore tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario ovvero la legittima aspettativa della futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa affidata9. La valutazione della condotta addebitata al ricorrente complessivamente considerata, infatti, induce a ritenere irreversibilmente compromessa la fiducia riposta nella correttezza dello svolgimento futuro delle mansioni affidate al dipendente. In concreto, per il caso in esame gli addebiti mossi al ricorrente muovono da una indagine che ha fatto emergere lo svolgimento di un’attività extra-lavorativa in periodo di assenza da lavoro per malattia assolutamente incompatibile con la patologia denunciata al datore di lavoro ed in grado non solo di aggravare la condizione fisica, quanto, piuttosto, di rallentare la guarigione ed ostacolare concretamente l’immediata ripresa lavorativa. Ebbene, dalle emergenze processuali devono ritenersi ampiamente provati sia lo svolgimento dell’attività extra-lavorativa durante lo stato di malattia così come contestata al lavoratore che la sua incidenza negativa sulla immediata ripresa lavorativa presso la società resistente. Grave è, di conseguenza, nel caso in esame, l’inadempimento del ricorrente degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede che devono improntare la fase esecutiva del rapporto lavorativo ai sensi degli artt. 2104 e 2015, 1175 e 1375 c.c.10. Ne consegue il rigetto del proposto ricorso.” (Tribunale di Castrovillari, Sez. Lav., ordinanza emessa in data 27.09.2019, Giudice del Lavoro dott. Salvatore Franco Santoro).


 

 

 

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“Orbene non risulta esser stata fornita da parte dell’Amministrazione una sufficiente prova in ordine all’effettiva sussistenza del vincolo di subordinazione tra la presunta dipendente individuata e l’odierna ricorrente. Nel caso che ci riguarda, al fine di provare le violazioni commesse in relazione alla posizione lavorativa della …….., non è sufficiente la semplice produzione in atti del verbale ispettivo che, in quanto atto redatto da pubblico ufficiale, fa piena prova, sino a querela di falso, esclusivamente di quanto l’ispettore dichiara di aver accertato di persona; mentre invece le dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale, per poter assumere la dignità di piena prova, devono essere confermate in sede di giudizio dai soggetti che le hanno rese, assumendo -in mancanza della predetta conferma- il valore di semplici elementi di valutazione liberamente apprezzabili dal Giudice. La stessa Cassazione in diverse occasioni ha ritenuto che le dichiarazioni acquisite in sede ispettiva possono avere rilevanza probatoria esclusivamente se ed in quanto confermate in giudizio dai soggetti che le dichiarazioni hanno reso (tra tutte Cass. n. 12108/2010; n. 17555/2002; n. 9962/2002; n. 6110/1998). L’Ispettorato Territoriale del Lavoro di …...  non riteneva necessario acquisire la testimonianza dei soggetti escussi in fase di accertamento indi deve ritenersi l’acquisizione al presente giudizio del solo verbale di accertamento da parte dell’ITL, non sufficiente a comprovare quanto in esso riportato. Per contro l’opponente provava le ragioni poste a fondamento della spiegata opposizione mediante la produzione documentale versata in atti …” ( Tribunale di Castrovillari – sez. civ., Sentenza n. 425/2019 pubbl. il 12/06/2019, G.I. dott.ssa Maria Francesca Di Maio).

 

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"Il carattere contingibile ed urgente dell’ordinanza di affidamento temporaneo del servizio di RSU, emanata dal Sindaco nella sua qualità di organo avente extra ordinem, in ragione della recipua esigenza di scongiurare il gravissimo pericolo per la salute e l’igiene pubblica scaturente dalla mancata raccolta dei rifiuti e tale, quindi, da escludere, o, meglio, da sospendere l’applicazione dell’art. 6 CCNL settore “Igiene Ambientale” (Tribunale di Rossano (collegiale), sez. lavoro, ordinanza emessa in data 11.01.2011, Giudice rel. est. dr. G. Labonia).

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