“Osserva in via preliminare il giudicante come il presente giudizio abbia ad oggetto la richiesta di pagamento, da parte del ricorrente delle differenze retributive vantate nei confronti della resistente per il periodo 2013-2018.

Dalla documentazione agli atti del giudizio (o meglio, come specificato sopra, acquisita in corso di giudizio per mezzo dei poteri istruttori del Giudice, il quale è in ogni caso tenuto alla ricerca della verità materiale) si evince che la parte in questa sede ricorrente aveva sottoscritto in data 31.7.2018 un “verbale di conciliazione” innanzi all’ispettorato del lavoro di Cosenza dalla cui lettura si evince chiaramente la volontà dell’odierno ricorrente di rinunziare espressamente - a fronte di una somma offerta dalla Società convenuta - alle pretese e alle rivendicazioni a qualsiasi titolo connesse e/o comunque riconducibili al rapporto di lavoro tra                e                      S.p.a..

La rinuncia espressa è stata così formulata: “…a fronte di tale pagamento e della sottoscrizione del presente accordo entrambe le parti dichiarano di non avere null’altro a pretendere a qualsiasi titolo, ragione o causa relativa al rapporto di lavoro intercorso per come sopra riportato”.

In particolare, il pregresso rapporto di lavoro era quello che va dal 2011 al 2018, con conseguente copertura anche del periodo oggetto del presente contenzioso (2013-2018).

In ragione della sottoscrizione del verbale di conciliazione prima della proposizione della domanda giudiziale (come detto, in data 31.07.2018), va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

L’art. 2113, comma 4, c.c., prevede espressamente l’inoppugnabilità delle conciliazioni intervenute ai sensi, tra gli altri, dell’art. 410 e 411 c.p.c. nelle materie di cui all’articolo 409 c.p.c., derogando alla normativa generale.

Deve pertanto rilevarsi che alle conciliazioni sottoscritte presso le commissioni istituite innanzi all’ispettorato del lavoro, in ragione dell’inoppugnabilità prevista dall’art. 2113, comma 4, c.c., viene attribuito di fatto all’accordo raggiunto in sede protetta natura definitiva.

La ratio della disposizione codicistica è, infatti, quella di assicurare, anche attraverso l’individuazione della sede e delle modalità procedurali, la pienezza di tutela del lavoratore in considerazione della portata che ha la conciliazione sui suoi diritti inderogabili e dell’inoppugnabilità della stessa, ovvero dell’impossibilità per il lavoratore – una volta sottoscritto l’accordo – di sollevare ulteriori contestazioni.

In difetto dei predetti requisiti il verbale è soggetto a termine decadenziale di cui all’art. 2113 c.c., ove qualificato come verbale di rinuncia e transazione.

Nel ricorso introduttivo, la parte ricorrente omette del tutto di riferire che sulla questione azionate era stato sottoscritto il predetto verbale di conciliazione.

Alla luce delle suesposte considerazioni, difettando qualsivoglia prova ed altresì qualsivoglia indizio della mancanza di autodeterminazione della parte ricorrente nella stipula dell’accordo, essendo il verbale di conciliazione intervenuto ante causam non può che dichiararsi l’inammissibilità del presente ricorso. (Tribunale di Castrovillari – sez. lav., Sentenza n. 1134/2025, pubblicata il 30.06.2025, Giudice del Lavoro dott. Giordano Avallone).

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“Nel caso di specie, poiché il fatto può essere sussunto nella fattispecie per la quale è prevista una sanzione conservativa, si ritiene applicabile il comma 1 dell’art 3 cit.

Concludendo, il licenziamento appare illegittimo per difetto di specificità degli addebiti e, altresì, illegittimo per evidente sproporzione della sanzione irrogata.

 

Nel consegue, in applicazione del primo comma dell'art. 3 d.lgs. n. 23/2015, la condanna della società .............. s.p.a. a corrispondere al ricorrente l'indennità di importo pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria”. (Tribunale di Castrovillari – sez. lav., sentenza n. 1581/2024, pubbl. il 14.08.2024, Giudice dott.ssa Anna Caputo).

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“... A difettare è, inoltre, il requisito, pure oggetto di contestazione. della carenza di "motivazione". Invero, affinché si fosse potuto ritenere del tutto immotivata la condotta tenuta dalla lavoratrice, sarebbe stato necessario che la società avesse fornito una spiegazione "plausibile" delle ragioni del più volte menzionato incontro del 16 maggio. Si osserva, infatti, che, se lo scopo del suddetto fosse veramente quello indicato nel capitolo 6 sopra riportato - ossia "approfondire una segnalazione in merito ad ore di lavoro nero svolto dalla opposta nei mesi precedenti prima o dopo la regolare registrazione della presenza tramite il badge in dotazione a ciascun dipendente" - ne è del tutto evidente il carattere pretestuoso: lo svolgimento di lavoro non regolarmente registrato, infatti, avrebbe potuto, al più, legittimare una pretesa retributiva della lavoratrice, non già dare adito ad una contestazione datoriale. In altri termini, lo stress indotto dall'essere stata la dipendente coinvolta in una conversazione priva di fondamento logico - che, verosimilmente, le ha fatto apparire come ostile il contesto lavorativo -. autorizza ad escludere la connotazione di non giustificatezza della condotta tenuta dalla stessa. ln tale contesto, peraltro, assumono particolare valenza le scuse inviate solo dopo un giorno a tutti i colleghi, sulla medesima chat di gruppo della filiale: significative sia per lo scarto temporale breve entro cui sono avvenute, sia perché denotano che, una volta ritrovata la calma, la sig.ra ..... ha potuto cogliere l'esatta portata di quanto era avvenuto. Ed è altrettanto significativo che nessuno dei colleghi abbia sporlo querela nei confronti dell'odierna reclamata per le ingiurie e le minacce subite (ha escluso espressamente di averlo fatto la teste .....; la datrice di lavoro non ha provato che ciò sia stato fatto dagli altri dipendenti coinvolti): segno che le scuse sono state reputate genuine e sincere ...” (Corte di Appello di Catanzaro- Sez. Lav. – Sentenza n. 587/2002, pubblicata il 03.05.2022 – Consigliere relatore dott.ssa Barbara Fatale).

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“L’appello è infondato perché deve confermarsi, da un lato, che l’Inps non ha fornito prova della somministrazione illecita di manodopera posta a base della pretesa contributiva, dall’altro che le risultanze istruttorie di primo grado offerte hanno elementi diametralmente opposti alla tesi prospettata dall’ente previdenziale [...] Ad ogni modo, la somministrazione illecita di manodopera è smentita da altri elementi probatori che il tribunale ha puntualmente valorizzato senza che, a ben vedere, su di essi l’Inps ha preso posizione , nemmeno chiarendo per quali ragioni la sola dichiarazione dello xxxxxx dovrebbe prevalere su altre circostanze che effettivamente sono emersi dall’istruttoria di primo grado.

In particolare, il tribunale ha correttamente evidenziato:

a) che i due testi sentiti nel corso del primo grado avevano reso dichiarazioni da cui emergeva che la xxx svolgeva i lavori di raccolta in piena autonomia, con mezzi propri e impartendo le direttive ai suoi lavoratori;

b) che l’Inps non aveva provato alcunché in ordine al fatto che la Cooperativa xxxx non aveva una sua organizzazione aziendale e non aveva la disponibilità di suoi mezzi e beni strumentali;

c) che il contenuto del contratto di appalto del 3.10.13 era chiaramente indicativo di un appalto genuino in quanto contenente, tra l’altro, un risultato ben determinato e la pattuizione del prezzo;

d) che gli stessi ispettori avevano accertato la regolare emissione di fatture per i lavori svolti e soprattutto i relativi pagamenti da parte della xxxxxxxx con mezzi tracciabili.

15) I suddetti elementi, che l’Inps non ha contrastato e che in effetti emergono dagli atti di causa, valgono chiaramente a smentire la mera somministrazione di manodopera ad opera della cooperativa xxx a favore del xxxxx e sminuiscono la valenza della dichiarazione dello xxx in relazione alla quale, come visto, emergono plurime perplessità che l’Inps non riesce a superare”. (Corte di Appello di Catanzaro – sez. lav. sentenza n. 115/2023, pubblicata il 07.11.2023, Consigliere relatore dott. Antonio Cestone).

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“Ebbene, a norma dell’art. della Legge 27 novembre 1960, n. 1397, siffatto l'obbligo sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. […] c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”. È altresì noto che, trattandosi di pretesa vantata dall’ente impositore, in forza del principio generale in tema di giudizi di opposizione, l’onere di provare la sussistenza del credito, sia sull’an che sul quantum, grava sull’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, mentre a carico del contribuente opponente è l'onere della dimostrazione dei fatti impeditivi modificativi ed estintivi (Cass. civ., sez. I, 18 aprile 1998, n. 3937; Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 1999, n. 1122). In concreto è stata omessa la prova, nemmeno mai offerta, dei presupposti legittimanti l’obbligatoria iscrizione nella gestione commercianti del ricorrente come amministratore unico della società a responsabilità limitata e degli elementi costitutivi del diritto di credito contributivo vantato dall’istituto resistente sebbene quest’ultimo fosse a ciò tenuto in ragione della posizione sostanziale assunta nel presente giudizio. Più precipuamente, nel caso in esame non è stata fornita la prova dell’abitualità e della prevalenza nel lavoro aziendale dell’attività svolta dal ricorrente.” (Tribunale di Castrovillari – sez. lav., sentenza n. 744/2022 pubblicata il 06.05.2022, Giudice del Lavoro dott.ssa Manuela Esposito).

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"Il carattere contingibile ed urgente dell’ordinanza di affidamento temporaneo del servizio di RSU, emanata dal Sindaco nella sua qualità di organo avente extra ordinem, in ragione della recipua esigenza di scongiurare il gravissimo pericolo per la salute e l’igiene pubblica scaturente dalla mancata raccolta dei rifiuti e tale, quindi, da escludere, o, meglio, da sospendere l’applicazione dell’art. 6 CCNL settore “Igiene Ambientale” (Tribunale di Rossano (collegiale), sez. lavoro, ordinanza emessa in data 11.01.2011, Giudice rel. est. dr. G. Labonia).

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