“L’appello è infondato perché deve confermarsi, da un lato, che l’Inps non ha fornito prova della somministrazione illecita di manodopera posta a base della pretesa contributiva, dall’altro che le risultanze istruttorie di primo grado offerte hanno elementi diametralmente opposti alla tesi prospettata dall’ente previdenziale [...] Ad ogni modo, la somministrazione illecita di manodopera è smentita da altri elementi probatori che il tribunale ha puntualmente valorizzato senza che, a ben vedere, su di essi l’Inps ha preso posizione , nemmeno chiarendo per quali ragioni la sola dichiarazione dello xxxxxx dovrebbe prevalere su altre circostanze che effettivamente sono emersi dall’istruttoria di primo grado.

In particolare, il tribunale ha correttamente evidenziato:

a) che i due testi sentiti nel corso del primo grado avevano reso dichiarazioni da cui emergeva che la xxx svolgeva i lavori di raccolta in piena autonomia, con mezzi propri e impartendo le direttive ai suoi lavoratori;

b) che l’Inps non aveva provato alcunché in ordine al fatto che la Cooperativa xxxx non aveva una sua organizzazione aziendale e non aveva la disponibilità di suoi mezzi e beni strumentali;

c) che il contenuto del contratto di appalto del 3.10.13 era chiaramente indicativo di un appalto genuino in quanto contenente, tra l’altro, un risultato ben determinato e la pattuizione del prezzo;

d) che gli stessi ispettori avevano accertato la regolare emissione di fatture per i lavori svolti e soprattutto i relativi pagamenti da parte della xxxxxxxx con mezzi tracciabili.

15) I suddetti elementi, che l’Inps non ha contrastato e che in effetti emergono dagli atti di causa, valgono chiaramente a smentire la mera somministrazione di manodopera ad opera della cooperativa xxx a favore del xxxxx e sminuiscono la valenza della dichiarazione dello xxx in relazione alla quale, come visto, emergono plurime perplessità che l’Inps non riesce a superare”. (Corte di Appello di Catanzaro – sez. lav. sentenza n. 115/2023, pubblicata il 07.11.2023, Consigliere relatore dott. Antonio Cestone).

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“... A difettare è, inoltre, il requisito, pure oggetto di contestazione. della carenza di "motivazione". Invero, affinché si fosse potuto ritenere del tutto immotivata la condotta tenuta dalla lavoratrice, sarebbe stato necessario che la società avesse fornito una spiegazione "plausibile" delle ragioni del più volte menzionato incontro del 16 maggio. Si osserva, infatti, che, se lo scopo del suddetto fosse veramente quello indicato nel capitolo 6 sopra riportato - ossia "approfondire una segnalazione in merito ad ore di lavoro nero svolto dalla opposta nei mesi precedenti prima o dopo la regolare registrazione della presenza tramite il badge in dotazione a ciascun dipendente" - ne è del tutto evidente il carattere pretestuoso: lo svolgimento di lavoro non regolarmente registrato, infatti, avrebbe potuto, al più, legittimare una pretesa retributiva della lavoratrice, non già dare adito ad una contestazione datoriale. In altri termini, lo stress indotto dall'essere stata la dipendente coinvolta in una conversazione priva di fondamento logico - che, verosimilmente, le ha fatto apparire come ostile il contesto lavorativo -. autorizza ad escludere la connotazione di non giustificatezza della condotta tenuta dalla stessa. ln tale contesto, peraltro, assumono particolare valenza le scuse inviate solo dopo un giorno a tutti i colleghi, sulla medesima chat di gruppo della filiale: significative sia per lo scarto temporale breve entro cui sono avvenute, sia perché denotano che, una volta ritrovata la calma, la sig.ra ..... ha potuto cogliere l'esatta portata di quanto era avvenuto. Ed è altrettanto significativo che nessuno dei colleghi abbia sporlo querela nei confronti dell'odierna reclamata per le ingiurie e le minacce subite (ha escluso espressamente di averlo fatto la teste .....; la datrice di lavoro non ha provato che ciò sia stato fatto dagli altri dipendenti coinvolti): segno che le scuse sono state reputate genuine e sincere ...” (Corte di Appello di Catanzaro- Sez. Lav. – Sentenza n. 587/2002, pubblicata il 03.05.2022 – Consigliere relatore dott.ssa Barbara Fatale).

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“La disciplina in esame si chiude, comunque, con una clausola di salvaguardia, posto che il legislatore della riforma prevede che laddove al vizio formale-procedurale si sovrapponga un vizio sostanziale, debbano trovare applicazione le tutele più favorevoli per il prestatore previste dai precedenti commi dell’art. 18.

Nel caso di specie, non solo a monte vi è un provvedimento di sospensione dal contenuto sostanzialmente identico alla sanzione espulsiva [con contestuale consegna di ogni oggetto in possesso della lavoratrice], ma tale sanzione sostanzialmente espulsiva è stata adottata in assenza di contestazione, motivazione, in seguito ad un comportamento acquiescente del datore di lavoro, (ammesso dallo stesso] che ha assunto nel corso del tempo i connotati di un disinteresse. 

Del resto, giova precisare il ricorso della fase sommaria non si è limitato a contestare alla ............ la sola violazione del principio dell’immediatezza, ma ha sostenuto e documentato che la procedura disciplinare è stata aperta tardivamente a ragione del fatto che, il datore aveva escluso, per fatti concludenti, la rilevanza disciplinare del comportamento poi addebitato con ritardo, comportamento, questo, che viene interpretato dalla giurisprudenza come una manifestazione di scarso interesse del datore a sanzionare il comportamento del lavoratore (Cass., 20 agosto 2003, n. 12261, in Arch. civ., 2004, 803. Contra Cass., 3 febbraio 2003, n. 1562, in Arch. Civ.,2003, 1357; Cass., 29 settembre 2003, n. 14507, in Gius., 2004, 813).

Lo stesso ricorso in opposizione da atto di tale iniziale inerzia [pag. 41, punto n.4].

Ed ecco allora che non si tratta più di vagliare la mera violazione della procedura disciplinare, ma il motivo soggettivo del licenziamento, con la conseguenza che se la contestazione tardiva comporta una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata. (cfr. Cass. 27/6/2013 n. 16227, Pres. Stile Rel.  Napoletano, in Lav. nella giur. 2013, 954).

Da qui la scelta di applicare la tutela reintegratoria.” (Tribunale di Castrovillari – Sez. Lav., Sentenza n. 1820/2021, pubblicata il 11.11.2021, Giudice del Lavoro dott.ssa Anna Caputo).

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“Ebbene, a norma dell’art. della Legge 27 novembre 1960, n. 1397, siffatto l'obbligo sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. […] c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”. È altresì noto che, trattandosi di pretesa vantata dall’ente impositore, in forza del principio generale in tema di giudizi di opposizione, l’onere di provare la sussistenza del credito, sia sull’an che sul quantum, grava sull’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, mentre a carico del contribuente opponente è l'onere della dimostrazione dei fatti impeditivi modificativi ed estintivi (Cass. civ., sez. I, 18 aprile 1998, n. 3937; Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 1999, n. 1122). In concreto è stata omessa la prova, nemmeno mai offerta, dei presupposti legittimanti l’obbligatoria iscrizione nella gestione commercianti del ricorrente come amministratore unico della società a responsabilità limitata e degli elementi costitutivi del diritto di credito contributivo vantato dall’istituto resistente sebbene quest’ultimo fosse a ciò tenuto in ragione della posizione sostanziale assunta nel presente giudizio. Più precipuamente, nel caso in esame non è stata fornita la prova dell’abitualità e della prevalenza nel lavoro aziendale dell’attività svolta dal ricorrente.” (Tribunale di Castrovillari – sez. lav., sentenza n. 744/2022 pubblicata il 06.05.2022, Giudice del Lavoro dott.ssa Manuela Esposito).

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Non vi è dubbio, infatti, che per un ufficiale di P.G. che si è sempre dedicato con diligenza ed abnegazione all'esercizio delle funzioni pubbliche assegnategli, vedersi destinatario di una sanzione disciplinare "della pena pecuniaria nella misura di 1/30 della retribuzione", irrogata per "il grave ed inaccettabile addebito di aver assunto comportamenti e contegni scorretti nei confronti di superiori", laddove invece lo ..... si era limitato ed esercitare i propri "diritti di difesa e di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantiti", senza assumere alcun contegno irriguardoso e/o esorbitante delle regole di continenza verbale, per come riconosciuto dal Tar, abbia integrato una condotta illegittima quanto meno sotto il profilo colposo, rappresentando l'inizio di una situazione di mortificazione interiore, della dignità ed immagine professionale, foriera di conseguenze sia sul piano psicologico che biologico e patrimoniale, che lo hanno accompagnato per l'ulteriore corso della sua carriera, visto che il Ministero, nonostante l'avvenuto annullamento della sanzione disciplinare de qua, non solo non ha provveduto a restituire le trattenute all'uopo operate ed a risarcire gli arrecati danni ma ha altresì omesso di depennare dal foglio matricolare del ...... lo stesso avvenuto annullamento della sanzione, finendo cosi coll'aggravare le già accertate ripercussioni psico - fisiche che ne sono derivate.” (Tribunale di Catanzaro, sez. civ., Sentenza n. 1050/2021, pubblicata il 29.06.2021, Giudice dott. Aleardo Zangari Del Prato).

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"Il carattere contingibile ed urgente dell’ordinanza di affidamento temporaneo del servizio di RSU, emanata dal Sindaco nella sua qualità di organo avente extra ordinem, in ragione della recipua esigenza di scongiurare il gravissimo pericolo per la salute e l’igiene pubblica scaturente dalla mancata raccolta dei rifiuti e tale, quindi, da escludere, o, meglio, da sospendere l’applicazione dell’art. 6 CCNL settore “Igiene Ambientale” (Tribunale di Rossano (collegiale), sez. lavoro, ordinanza emessa in data 11.01.2011, Giudice rel. est. dr. G. Labonia).

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