“Tanto conforta, innanzitutto, l’assoluta infondatezza dell’eccezione sollevata dall’Inps circa il difetto di giurisdizione dell’AGO adita, trattandosi di controversia previdenziale di competenza del giudice del lavoro ai sensi dell’art. 442 c.p.c. Non solo, in tema di riparto dell’onere della prova, trattandosi di credito preteso dall’Inps (contributi previdenziali per i lavoratori illecitamente somministrati) l’offerta della prova dei fatti costituivi del diritto di credito in esame grava sull’istituto che si afferma creditore, anche in questo giudizio teso all’accertamento negativo del debito contributivo. Ciò puntualizzato occorre concludere per l’insussistenza di una ipotesi di somministrazione illecita posta a fondamento del credito previdenziale in esame. Ed infatti, alcuna prova in questo giudizio è stata fornita dall’Inps della fattispecie ritenuta sussistente in sede di controllo ispettivo sebbene fosse a ciò tenuto. In concreto la parte resistente si è limitata a fare espresso rimando alle risultanze ispettive producendo il verbale di accertamento ispettivo eseguito nei confronti della ditta ricorrente ed a formulare capitoli di prova tesi a confermare le circostanze acclarate in sede ispettiva. Ebbene, il verbale di accertamento ispettivo da solo non può costituire una sufficiente prova dei fatti costitutivi del vantato diritto di credito previdenziale per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità. Ciò posto deve ritenersi non adeguatamente provata l’ipotesi ritenuta sussistente in sede ispettiva di una somministrazione illecita di manodopera e, di conseguenza, la sussistenza dei crediti previdenziali pretesi ed il connesso obbligo a carico della parte ricorrente, mancando in questa sede processuale la prova di tutti i tratti connotativi. In concreto, sebbene debba darsi atto delle risultanze ispettive e della loro generale portata probatoria, in questo giudizio non è stata offerta la prova del credito vantato dall’Inps, non potendo riconoscere al solo verbale ispettivo prodotto dalle parti efficacia probatoria del credito contributivo per cui è causa. Risulta omessa l’offerta della prova dello stesso fenomeno interpositorio accertato in sede ispettiva”. (Tribunale di Castrovillari – sez. lav. sentenza n. 1492/2020, pubblicata il 09.10.2020, Giudice del Lavoro dott. Salvatore Franco Santoro).

 

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“… a prescindere dal rilievo che assume la circostanza che il pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento all'effettiva reintegrazione, stabilito dall'ordinanza resa dal Tribunale di Castrovillari, il 23.6.2016, non è equiparabile, quanto a conseguenze esecutive, al pagamento della retribuzione, ma rappresenta appunto una indennità risarcitoria, predeterminata normativamente (cfr. art. 18, L. 300/1970), dal che deriva l'inconferenza del principio evocato dal lavoratore in merito alle ritenute, afferendo alla diversa ipotesi di liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive […] in una recente sentenza delle S.U. della Suprema Corte e, precisamente: "Alla luce del nuovo testo dell'art. 18, le somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado che abbia dichiarato illegittimo il licenziamento ed ordinato la reintegra del lavoratore, costituiscono (in assenza di ottemperanza alla decisione di primo grado) non più retribuzioni, ma risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l'illegittima risoluzione del rapporto di lavoro" (Corte Cass. S.U. sentenza n. 2990/2018) …” (Tribunale di Castrovillari  - Sez. Lav., sentenza n. 1000/2020, pubblicata il 07.07.2020, Giudice del lavoro, dott.ssa Anna Caputo).

 

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“Innanzitutto occorre affermare l’infondatezza della doglianza rappresentata dalla parte ricorrente circa la inutilizzabilità delle videoregistrazioni e dei fotogrammi prodotti ritraenti il lavoratore in attività extra-lavorativa1. Per orientamento della Suprema Corte di Cassazione, infatti, al quale occorre dare continuità, deve ritenersi legittimo il ricorso da parte del datore di lavoro a un'agenzia investigativa per verificare l'attendibilità della certificazione medica, mentre non sussiste alcuna lesione del diritto alla riservatezza e alla privacy. […] Ebbene, alla luce delle evidenze processuali, occorre concludere per la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, secondo una valutazione complessiva degli addebiti mossi al ricorrente, configuranti, in ragione delle circostanze del caso concreto emerse nel corso del giudizio, una grave ipotesi di inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto lavorativo a carico del lavoratore tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario ovvero la legittima aspettativa della futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa affidata9. La valutazione della condotta addebitata al ricorrente complessivamente considerata, infatti, induce a ritenere irreversibilmente compromessa la fiducia riposta nella correttezza dello svolgimento futuro delle mansioni affidate al dipendente. In concreto, per il caso in esame gli addebiti mossi al ricorrente muovono da una indagine che ha fatto emergere lo svolgimento di un’attività extra-lavorativa in periodo di assenza da lavoro per malattia assolutamente incompatibile con la patologia denunciata al datore di lavoro ed in grado non solo di aggravare la condizione fisica, quanto, piuttosto, di rallentare la guarigione ed ostacolare concretamente l’immediata ripresa lavorativa. Ebbene, dalle emergenze processuali devono ritenersi ampiamente provati sia lo svolgimento dell’attività extra-lavorativa durante lo stato di malattia così come contestata al lavoratore che la sua incidenza negativa sulla immediata ripresa lavorativa presso la società resistente. Grave è, di conseguenza, nel caso in esame, l’inadempimento del ricorrente degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede che devono improntare la fase esecutiva del rapporto lavorativo ai sensi degli artt. 2104 e 2015, 1175 e 1375 c.c.10. Ne consegue il rigetto del proposto ricorso.” (Tribunale di Castrovillari, Sez. Lav., ordinanza emessa in data 27.09.2019, Giudice del Lavoro dott. Salvatore Franco Santoro).


 

 

 

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“Ebbene, in via preliminare occorre chiarire che per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità elaborato con riferimento alla formulazione della disposizione contenuta nell’invocato art. 18 S.L. anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92/2012, la liquidazione forfettaria ex lege prevista dall’art. 18 L. n. 300/1970 copre tutti i danni collegati all'illegittimità del licenziamento ex se, anche sotto il profilo del danno biologico […] Ebbene la parte ricorrente si è limitata a rappresentare di aver subito i pregiudizi alla salute, morali ed alla professionalità in occasione ed a causa dell’illegittimo licenziamento impugnato.  In concreto la parte ricorrente ha ricollegato l’insorgenza dei lamentati pregiudizi alla salute, morali ed alla professionalità semplicemente alla irrogazione da parte della società del recesso impugnato ritenuto illegittimo senza rappresentare la natura ingiuriosa, persecutoria o vessatoria del recesso né le sue concrete modalità lesive della dignità e dell’onore anche in ambito professionale. Risulta omessa qualunque allegazione ed offerta di prova non solo del carattere ingiurioso, persecutorio o vessatorio del licenziamento in esame quanto piuttosto delle concrete modalità offensive con cui è stato intimato il licenziamento, delle forme lesive della dignità e dell’onore del lavoratore ed anche della pubblicità del provvedimento in grado di incidere negativamente nella sfera relazionale e professionale del dipendente.” (Tribunale di Castrovillari – Sez. Lav., Giudice del Lavoro dott. Salvatore Franco Santoro, sentenza n. 1591/2019, pubblicata il 09.10.2019).


 

 

 

 

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“In ordine al fatto che il presente giudizio in opposizione è stato assegnato e trattato dal medesimo giudice-persona fisica che ha emesso l’ordinanza impugnata, basti in questa sede richiamare quanto statuito (nel senso della insussistenza di alcuna incompatibilità) sia dalla Suprema Corte (Cass. Lav. 17 febbraio 2015 n° 3136) sia dalla Corte Costituzionale (sentenza 13 maggio 2015 n° 78 ). […] <<Non può innanzitutto accogliersi la doglianza del ricorrente in ordine alla ritorsività del licenziamento.  Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, “in tema di provvedimento del datore di lavoro a carattere ritorsivo, l'onere della prova su tale natura dell'atto grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo” (Cass. sez. lav. 6 giugno 2013, n. 14319). Nel caso di specie, parte ricorrente non ha evidentemente assolto al proprio onere della prova, non avendo fornito elementi specifici da cui desumere l’intento ritorsivo asseritamente attuato nei suoi confronti. Infatti l’esistenza di un precedente provvedimento espulsivo nonché di un contenzioso in corso non sono elementi che, in difetto di concorso con altre specifiche circostanze, possono rivelare l’intento ritorsivo del datore di lavoro, specie a fronte delle specifiche contestazioni che fondano il provvedimento di licenziamento impugnato in questa sede.” (Tribunale di Castrovillari, Sez. Lav., sentenza n. 1397 del 16.09.2019, Giudice del Lavoro dott. Simone Falerno).

 

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"Il carattere contingibile ed urgente dell’ordinanza di affidamento temporaneo del servizio di RSU, emanata dal Sindaco nella sua qualità di organo avente extra ordinem, in ragione della recipua esigenza di scongiurare il gravissimo pericolo per la salute e l’igiene pubblica scaturente dalla mancata raccolta dei rifiuti e tale, quindi, da escludere, o, meglio, da sospendere l’applicazione dell’art. 6 CCNL settore “Igiene Ambientale” (Tribunale di Rossano (collegiale), sez. lavoro, ordinanza emessa in data 11.01.2011, Giudice rel. est. dr. G. Labonia).

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